Allenare gli adolescenti alla persistenza
Al termine delle olimpiadi Tokyo 2020, rivedo ancora le immagini che i giornali sportivi ci hanno regalato dei nostri atleti e dei loro traguardi. Parole, commenti … tutti volevano essere in qualche modo accanto a questi ragazzi e ragazze nei loro successi riusciti e in quelli rimandati alle prossime gare olimpioniche. Per ciascun atleta il cammino per arrivare alle olimpiadi è stato differente, però trovo ci sia un minimo comune denominatore che raccoglie, in estrema sintesi, questi percorsi così diversi: la persistenza. E’ una potenzialità che si può avere ma che si può anche intenzionalmente allenare e, quando ciò accade, diviene potenza in grado di modificare la realtà che è il carattere, il modo di lavorare e procedere, lo stile con cui allenarsi, il motore propulsore che sprigiona grinta. La perseveranza (o persistenza) permette la continuazione volontaria, consapevole e prolungata di un’azione progettuale rivolta ad uno scopo preciso nonostante ostacoli e difficoltà che si incontrano nel realizzarla. Commentando i successi nell’atletica, un tecnico ha detto che adesso è ora di portare, anche nelle nostre scuole, questa disciplina. Credo proprio sia vero, e soprattutto trovo sia un pensiero estremamente sano poiché lo sport, come del resto tutte le attività extracurricolari, sono in grado di sostenere e incrementare il livello di perseveranza nei nostri adolescenti, il che ha delle incontrovertibili conseguenze sul loro futuro.
Alcuni studiosi hanno equipaggiato un gruppo di adolescenti con dei cercapersone, in modo da ottenere da loro a intervalli fissi nell’arco della giornata informazioni su ciò che stavano facendo ma soprattutto sullo stato d’animo del momento. Durante le ore di lezione, generalmente i ragazzi dichiarano di sentirsi messi alla prova, ma anche di annoiarsi, mentre la compagnia degli amici nel tempo libero è divertente e poco impegnativa. E durante le attività extracurricolari? Mentre praticano uno sport, fanno musica o provano la recita scolastica, si sentono allo stesso tempo impegnati e divertiti. Non c’è nessun’altra esperienza nella vita dei ragazzi che presenti questa combinazione di sfida da superare e di motivazione interiore. Il succo di questa ricerca è il seguente: la scuola è impegnativa, ma per molti ragazzi priva di interesse intrinseco; chattare con gli amici è divertente e interessante ma per nulla impegnativo; allenamenti o lezioni di violino possono essere entrambe le cose. L’esperienza immediata è una cosa, un’altra gli effetti a lungo termine. Le attività extracurricolari comportano benefici misurabili? Esistono innumerevoli studi che dimostrano che i ragazzi più impegnati in attività fuori programma se la cavano meglio in quasi tutti gli aspetti misurabili: voti scolastici, autostima, condotta… anche a distanza di anni una maggiore partecipazione ad attività extracurricolari predice risultati migliori.
Ma cosa dire della persistenza che ci vuole per realizzare qualcosa che richiede non mesi, ma anni di lavoro? Se persistenza vuol dire restare concentrati a lungo su un dato obiettivo e se le attività extracurricolari sono un mezzo per esercitarla, è logico che queste siano particolarmente efficaci quando si praticano per più di un anno. A titolo di esempio assai convincente riporto uno studio della psicologa Margo Gardner sui benefici portati dalle attività extracurricolari coltivate per un lungo periodo. Con i suoi collaboratori della Columbia University ha seguito in totale undicimila adolescenti fino a ventisei anni d’età, per accertare quali effetti potevano avere sulla loro riuscita da adulti due anni di partecipazione ad attività extracurricolari durante la scuola media, a differenza di uno solo. Ecco i risultati ottenuti dall’équipe di Margo Gardner: i ragazzi che si impegnano nelle attività per più di un anno hanno maggiori probabilità di portare a termine il college. Anche il numero di ore settimanali dedicate all’attività ha valore predittivo, rispetto alla probabilità di trovare un impiego e di avere un reddito maggiore, ma ciò vale se l’attività è stata praticata per almeno due anni.
Uno dei primi a studiare scientificamente l’importanza di impegnarsi seriamente in attività extracurricolari è stato Warrent Willingham, che nel 1978 dirigeva il Personal Qualities Project. Ancora oggi la sua ricerca rappresenta il tentativo più ambizioso di identificare i fattori che determinano il successo nella prima età adulta. La sua équipe ha seguito per cinque anni migliaia di studenti, a partire dall’ultimo anno della scuola secondaria. All’inizio si raccoglievano per ciascun soggetto il fascicolo di ammissione all’università, questionari, testi scritti, colloqui e cartelle scolastiche. da questo materiale si ricavavano punteggi numerici per oltre cento caratteristiche personali, tra cui variabili familiari come situazione professionale e socioeconomica dei genitori, interessi professionali dichiarati, motivazione espressa per un titolo d’istruzione superiore, obiettivi negli studi e molte altre. In seguito, via via che gli studenti progredivano negli studi universitari, si raccoglievano indici obiettivi di successo in tre ampi settori: riuscita negli studi, capacità di leadership e risultati di rilievo ottenuti nei campi più vari (scienza e tecnica, arte, sport, scrittura e oratoria, imprenditoria, attività di servizio civile). In un certo senso, il progetto era come un concorso ippico: alla partenza, uno qualunque del centinaio di indici raccolti aveva le stesse probabilità di rivelarsi il più forte nella predizione del successo. Dalla lettura del primo rapporto, pubblicato vari anni dopo che erano stati raccolti gli ultimi dati, risulta chiaro che Willingham non aveva alcuna particolare predilezione: descriveva metodicamente ogni singola variabile, le ragioni per tenerne conto, il metodo di rilevazione ecc. Ma, una volta avuti in mano i risultati, non ebbe alcun dubbio su quello che aveva scoperto. Una cavallo aveva vinto di molte lunghezze: la perseveranza. Ecco come la definivano Willingham e i suoi collaboratori: “L’indice di perseveranza era dato da un dimostrato impegno finalizzato e continuativo in certi tipi di attività (nella scuola secondaria), contrapposto a tentativi sporadici in ambiti diversi”. Gli studenti che ottenevano il punteggio massimo nella perseveranza erano quelli che durante la scuola secondaria avevano partecipato per vari anni a due diverse attività, ottenendo risultati importanti in entrambe, come diventare redattore del giornale scolastico, essere nominata miglio giocatrice nella squadra di pallavolo, vincere un premio di pittura o scultura… La perseveranza nelle attività extracurricolari (nella scuola secondaria) prevedeva meglio di ogni altra variabile il conseguimento di una laurea col massimo dei voti. Analogamente questa variabile risultava il miglio indice predittivo di posizioni di leadership e di altri risultati importanti raggiunti una volta terminati gli studi, nei campi più vari.
A tutti i genitori che desiderano incoraggiare la perseveranza nei loro figli, senza interferire nella loro capacità di scegliersi la propria strada, consiglio di adottare la “legge della cosa difficile”. Adottare questa legge significa applicare in famiglia tre articoli.
- Ognuno, compresi i genitori, ha una cosa difficile da fare (oltre il lavoro o la scuola), una cosa che richiede impegno quotidiano di pratica deliberata. Per la mamma può essere yoga, la corsa per papà, per i figli pianoforte piuttosto che danza o tennis…
- Si può smettere. ma non prima che sia finita la stagione, sia arrivata a scadenza la tassa d’iscrizione o sia arrivato un qualche altro traguardo “naturale”: almeno per il periodo in cui ti sei impegnato, devi portare a termine qualunque cosa abbia cominciato. In pratica, è vietato smettere di punto in bianco perché quel giorno l’insegnante ti ha rimproverato, o hai perso una gara, o ti tocca rinunciare a una festa perché l’indomani mattina hai un impegno importante. Non puoi troncare a capriccio appena le cose si mettono male.
- La cosa difficile devi sceglierla tu. Nessuno può farlo per te, poiché non avrebbe il minimo senso impegnarsi a fare una cosa difficile che non ti interessi affatto. 3 bis – Questo articolo lo si applicherà solo con il termine dalla seconda media: proseguire l’attività per almeno due anni.
Si possono cambiare, negli anni, diverse attività prima di approdare a quella che è la nostra passione. Ma anche in questa ricerca possiamo sviluppare, allenandola, una maggiore persistenza; ritengo sia una fortuna l’occasione di poterlo fare. Non tutte le scuole propongono attività extracurricolari e, lasciatemelo dire, con le molteplici risorse che il Ministero ha messo in campo in questi mesi, non è più un problema economico bensì culturale. Molti presidi e docenti considerano queste attività semplici orpelli invece di vedere in esse l’opportunità per aiutare i nostri ragazzi a diventare adulti capaci di portare avanti ciò che iniziano e di intravedere nelle diverse attività extracurricolari gli indizi della propria vocazione.