Dodici cose da sapere sul cervello dei pre-adolescenti
Ecco dodici scoperte delle neuroscienze sul cervello dei preadolescenti da tenere sempre presenti, se volete davvero comprendere il modo di pensare dei vostri figli.
1. Il cervello non smette di maturare. Durante la preadolescenza e l’adolescenza, la parte del cervello che subisce le modifiche più evidenti è la materia grigia, che forma la corteccia, ovvero il rivestimento esterno di tutto il sistema nervoso centrale. E’ qui che avvengono i processi cognitivi e di memorizzazione. Durante l’infanzia e la preadolescenza il volume della materia grigia aumenta, poi, dai quindici-sedici anni, diminuisce progressivamente. Tale diminuzione fa parte del processo di maturazione, che parte da “dietro” per venire avanti. Prima maturano, cioè, le aree posteriori, che si occupano di funzioni più basiche, come il controllo del movimento e la decodifica delle informazioni sensoriali. Per ultime maturano o quelle anteriori, legate alle funzioni cognitive più complesse e sofisticate, che regolano pulsioni e impulsi e permettono la pianificazione e la progettazione.
2. Le variazioni di volume che si verificano nella materia grigia durante l’età evolutiva non sono state ancora perfettamente chiarite; non si sa con esattezza che cosa cambi realmente. Sappiamo, però, che la materia grigia è composta da neuroni e cellule gliali (che hanno funzioni nutritive e di supporto ai neuroni). Le sinapsi, ossia i collegamenti stabiliti dai neuroni tra cellule diverse, rendono possibile la comunicazione da cellula a cellula e la trasmissione degli impulsi nervosi, e quindi delle informazioni che veicolano. Nelle prime fasi della vita si verificano uno sviluppo e una crescita enormi delle connessioni sinaptiche, a cui segue una ‘potatura’ (pruning cellulare), man mano che il cervello matura. A due anni un bambino ha circa la metà delle sinapsi di un adulto. La maturazione cerebrale in età evolutiva comporta la selezione delle sole sinapsi attive, effettivamente coinvolte nel funzionamento della mente del soggetto. Quindi, per mantenere vitale una sinapsi bisogna farla lavorare. Se resta inutilizzata, infatti, verrà potata e scomparirà dai circuiti funzionanti. E’ l’esperienza, dunque, che modella il cervello dell’individuo. Per questo è cruciale che un preadolescente riceva stimoli differenziati, che coinvolgano i neuroni di aree differenti. Iperspecializzarsi in qualcosa non è mai vantaggioso in questa fase della vita. Meglio praticare più attività, così da mantenere vive più reti cerebrali e limitare la ‘potatura’ sinaptica.
3. La “pseudostupidità” dei preadolescenti è una questione di neuroni. Quando i nostri nonni parlavano dell'”età della stupidera“, alludendo ai limiti di autoregolazione emotiva, coordinazione motoria e resistenza alle frustrazioni tipiche della preadolescenza, affermavano, a modo loro, un principio che le neuroscienze hanno dimostrato inequivocabilmente, ovvero la difficoltà del soggetto ad utilizzare al meglio le proprie potenzialità cognitive. Come educatori e genitori, da un lato dobbiamo essere pazienti, sapendo che è un fenomeno specifico di questa fase e che evolverà in meglio; dall’altro, è importante avere consapevolezza che le nostre proposte educative, le conversazioni con i figli, gli stimoli, i libri e i film che proponiamo loro sono tutti strumenti che facilitano la maturazione delle funzioni corticali.
4. La mielinizzazione ancora parziale rallenta le funzioni cognitive. La maturazione delle funzioni cerebrali è il risultato di due processi:
- la connessione tra differenti aree e il conseguente collegamento dei rispettivi neuroni;
- la mielinizzazione delle fibre di connessione, perché la speciale guaina proteica che riveste le fibre serve ad accelerare la trasmissione degli impulsi nervosi da cellula a cellula e da area ad area.
Il grande incremento delle funzioni cognitive e delle competenze di ragionamento e apprendimento che accompagnano verso l’età adulta e la maturità sono il risultato di questi due processi combinati: la connessione e integrazione di differenti aree cerebrali e la velocizzazione della trasmissione dell’impulso. Se i ragazzi ci sembrano a volte lenti nel cogliere le cose, nel fare collegamenti, nel mantenere fede agli impegni presi, è perché il processo di maturazione ancora non sostiene queste capacità, che vanno allenate e stimolate attraverso la relazione educativa con l’adulto.
5. Non fa la cosa giusta? Tutta colpa della mielina. Il processo di mielinizzazione ancora in divenire comporta che spesso un preadolescente non sappia individuare (e di conseguenza fare) la cosa più giusta. L’educatore, aiutandolo a riflettere sull’azione che deve compiere, o che ha già compiuto, facilita la mielinizzazione e sostiene la progressiva acquisizione di competenze da parte del ragazzo. Questo percorso si compie nell’arco dell’intera età evolutiva e si stabilizza intorno ai vent’anni. Per questo occorre essere pazienti e costanti nel lavoro di sostegno e di accompagnamento alla crescita.
6. Il suo cervello prima sente e poi pensa.. forse. In preadolescenza il cervello cognitivo è molto più immaturo di quello emotivo. Per questo le azioni dei ragazzi sono fortemente orientate alla crescita di emozioni forti e intense. Il cervello emotivo usa, infatti, il suo “potere” per dirigere la mente verso i propri obiettivi, al punto che spesso lo stesso soggetto resta colpito, e sconvolto, da questo dominio. Quando i nostri figli ci dicono: “non so perché l’ho fatto” non è detto che stiano mentendo. Hanno seguito il loro cervello emotivo senza fermarsi nemmeno un minuto a riflettere sulle implicazioni dell’azione che stavano per compiere.
7. La mente è molto attiva, e perciò incline alle distrazioni. A partire dalla preadolescenza il cervello ha le stesse potenzialità di apprendimento (se non addirittura migliori) di un adulto. Non c’è una fase della vita in cui si hanno potenzialità maggiori che tra gli undici e i diciott’anni. La ricerca, però, ha dimostrato che a quest’età si utilizzano aree della corteccia cerebrale differenti rispetto agli adulti. Di fronte ad attività di calcolo, concentrazione e controllo degli impulsi, il cervello di un preadolescente fatica molto di più, pur avendo, in teoria, capacità elevatissime, per via delle frequenti interferenze della parte emotiva, che tende a distrarlo di continuo, rendendogli insopportabile la fatica e la frustrazione connessi allo studio. Noi adulti dovremmo, perciò, aiutare i nostri figli limitando almeno le interferenze ambientali che possono distrarli e demotivarli (per esempio togliere di mezzo il cellulare -spento e in un’altra stanza rispetto a dove studia – spegnere la tv, non usare il pc se non strettamente necessario, ecc.).
8. Il cervello ha bisogno di dormire anche se non ha mai sonno. Le ricerche hanno dimostrato che dopo i dodici anni il bisogno di riposo del cervello si modifica in modo sensibile. I ragazzi tendono ad andare a letto sempre più tardi, ma non possono recuperare le ore di sonno perse perché l’indomani devono svegliarsi per andare a scuola. La stanchezza in adolescenza rende più frequenti irritabilità e depressione, e incrementa l’impulsività e la tendenza a compiere azioni rischiose. Fare in modo che un preadolescente dorma tutto il tempo necessario al cervello per recuperare le energie emotive e cognitive è di fondamentale importanza per il suo benessere psicofisico. Togliete dalla camera i nemici del sonno, troppo di frequente ragazzi che “vanno a letto presto” poi dormono in classe perché durante la notte videogiochi e chat li tengono in ostaggio.
9. E’ più facile sviluppare dipendenza da alcool e tabacco, perciò è bene evitarli. A quest’età le esperienze eccitanti provocano un rilascio di dopamina molto superiore che in tutte le altre fasi della vita. Per questo preadolescenti e adolescenti sono più vulnerabili e inclini a sviluppare dipendenza da tutto ciò che è immediatamente piacevole ed eccitante, in particolare alle sostanze psicotrope, che producono sensazione dalle quali sono fortemente attratti.
10. Se vostro figlio è arrabbiato, quello che dice non vale. Quando un preadolescente si arrabbia, il suo cervello emotivo è in balia dell’ira. Ciò che vi dice in questi momenti (“sei il peggior genitore del mondo”, “ti odio”, “come vorrei non essere nato in questa famiglia”…) viene dalla sua parte emotiva, non da quella cognitiva. E’ probabile che, se un’ora prima vi odiava, un’ora dopo si avvicini, chiedendovi una coccola o una tazza di cioccolata.
11. Se lui è arrabbiato, voi dovete stare calmi. Un ragazzo in preda alla rabbia non sta ragionando, perciò ha bisogno di un adulto autorevole che gli dimostri cosa vuol dire rimanere nel qui e ora, mantenere il controllo della situazione, anche se si è in preda a un’emozione molto forte. Se di fronte alla sua ira perdete l’equilibrio più di lui, urlate, lo picchiate, gli fracassate a terra il cellulare, lo minacciate, dicendogli parole che non avreste mai voluto dire, accentuerete soltanto il suo stato di attivazione emotiva. L’obiettivo dell’intervento educativo è stato contrario: rimettete in contatto il cervello che sente con il cervello che pensa ed elaborate una strategia consapevole per superare il momento di difficoltà.
12. La preadolescenza è un periodo perfetto per coltivare lo spirito. Le attività lente, orientate alla meditazione e alla riflessione sono molto utili in preadolescenza e adolescenza a scopo protettivo, perché permettono al ragazzo di rallentare davanti a qualcosa in cui, d’impulso, si butterebbe a capofitto. Il coaching è particolarmente indicato in questo periodo della vita e svolge un importante ruolo di protezione e progettazione. Progettare il futuro, per un preadolescente, significa iniziare a cercare il proprio posto nel mondo, costruendo la propria vocazione, Anche le attività che richiedono un intenso lavoro di concentrazione e sforzo cognitivo come gli scacchi, i giochi in scatola o i giochi a carte sono ottimi allenatori del cervello che abituano a sospendere l’azione e a riflettere a lungo. Infine, l’adesione a un credo religioso, la pratica di attività ed esercizi spirituali, a patto che non sia imposta né ossessiva, è certamente una straordinaria risorsa per aiutare le aree cerebrali a formarsi ed integrarsi nel modo giusto.
Un aspetto che mette particolarmente in crisi è che, al sopraggiungere della preadolescenza, i nostri figli hanno acquisito nuove competenze e sono in grado di guardarci con occhi diversi. Non sono più i bambini che vedevano mamma e papà come i loro personali supereroi, e che erano ben disposti a giustificarli e a considerarli i migliori al mondo, anche davanti ad errori evidenti. Questo primato, questa sovrastima ingenua e affettuosa ora vengono messi in discussione. I ragazzi hanno acquisito un pensiero critico, sanno guardare come appariamo fuori, ma anche come stiamo dentro. E a volte sanno usare parole che arrivano al centro del cuore con grande forza. Sanno essere tanto amorevoli e simpatici, quanto scorbutici e indisponenti. Molte mamme vanno in crisi di fronte alle critiche o alle proteste violente delle loro creature. Molti padri si sentono rifiutati, o addirittura provocati, da frasi pronunciate dai loro figli. La paura di perderli non ci trasformi in genitori remissivi lasciando che siano i figli a condurci. Dal punto di vista del ragazzo queste prove di forza servono a due cose:
- vedere fin dove può spingersi prima che l’adulto lo blocchi e gli metta confini e limiti precisi;
- testare la capacità dei grandi di rimanere “sul ring” della sua crescita, in cui, metaforicamente, il giovane inizia a tirare pugni, aspettandosi che dall’altra parte ci sia un allenatore competente e autorevole, in grado di bloccare i suoi colpi maldestri, reindirizzarli verso obiettivi più adeguati e soprattutto insegnargli strategie di attacco più elaborate e articolate di una raffica di colpi maldestri menati in aria senza nemmeno capire cosa stia succedendo davvero.
Per questo è fondamentale rimanere tranquilli e “compatti”, ovvero non andare in frantumi, non sentirci sbagliati e inadeguati, quando lo sguardo con cui i figli preadolescenti ci guardano ci sembra ipercritico. Ciò che vogliono fare non è distruggerci e farci stare male, ma cominciare a mettere tra noi e loro una distanza grazie alla quale potranno diventare ciò che davvero vogliono essere, e non soltanto quello che speriamo diventino.