3° Principio del Coaching Umanistico: La plasticità e l’allenamento.
La plasticità cerebrale è la capacità del cervello di modificarsi grazie all’allenamento. Fino alla metà del ‘900 la medicina ufficiale e la scienza sostenevano che il cervello fosse immutabile. Si pensava che dopo l’infanzia e l’adolescenza, il cervello non potesse più modificarsi, ad eccezione del lento e continuo deterioramento causato dell’età.
Dalla metà del ‘900 alcuni scienziati mostrarono che, al contrario il cervello modifica la propria struttura adattando e affinando i propri circuiti al compito specifico che di volta in volta deve svolgere. La scoperta che il cervello possa modificare la propria struttura e le proprie funzioni è stata una vera e propria rivoluzione non solo per le neuroscienze, ma anche per le discipline umanistiche, le scienze sociali, l’arte, lo sport e tutto ciò che riguarda l’apprendimento. E’ il terzo principio su cui si fonda il Coaching Umanistico.
I tassisti di Londra hanno la zona dell’ippocampo mediamente più vasta della media per l’esercizio della memoria, i ciechi che si allenano all’ecolocalizzazione attivano l’area visiva grazie ai suoni, chi ha avuto traumi attiva le aree sane per compensare quelle danneggiate come nel caso di ictus, anche coloro che soffrono di dolore cronico modificano le loro strutture cerebrali. La plasticità è diversa a seconda delle età, ma è sempre possibileattivarla tramite l’esercizio. Grazie alla plasticità cerebrale e al giusto esercizio trasformiamo paradigmi consolidati, sviluppiamo talenti, creiamo nuove rappresentazioni mentali e sentimentali, creiamo opere d’arte, scoperte scientifiche, imprese sportive rendendo ciò che sembra impossibile qualcosa di fattibile e raggiungibile.
Nello sport si è sempre pensato che le donne fossero più fragili degli uomini. Jasmin Paris, atleta britannica, 35 anni, un dottorato di ricerca in medicina all’Università di Edimburgo, ha appena vinto la massacrante Montane Spine Race, 431 chilometri conclusi in poco meno di tre giorni e mezzo. Soprattutto si è lasciata dietro maschi e femmine, migliorando di ben 12 ore il record della gara. E se non bastasse, nei pochi momenti di sosta, ha prelevato il latte per la sua bimba di 14 mesi. Nel 2017 Courtney Dauwalter vinse la Moab 240 Race lungo le rive del Colorado distanziando il secondo, un maschio, di una decina d’ore. Qualche mese dopo Camille Herron ha stabilito il record assoluto di corsa trail sulle 100 miglia. Due settimane fa, all’ottavo giorno di gara, dopo aver percorso in bici già tremila chilometri, dormito sul ciglio della strada non più di 4 ore a notte, Fiona Kolbinger, tedesca, 24 anni, si è fermata al posto di controllo, si è seduta al piano di un hotel e ha iniziato a suonare The Lion Sleeps Tonight. Nonostante la piccola distrazione, martedì mattina è giunta prima al traguardo di Brest, in Francia, nella Transcontinental Race, prima donna a riuscire nell’impresa in una gara da folli: quattromila chilometri da Burgas, sul Mar Nero, fino all’Atlantico in un’unica tappa. Per entrare nella storia gli sono serviti 10 giorni, 2 ore e 48 minuti. Alla partenza pochi la conoscevano, nessun trascorso di rilievo nel ciclismo, nessuna gara di ultra-endurance affrontata. Pochi dettagli, biografia essenziale: studentessa di medicina che si sta specializzando in oncologia pediatrica.
Cambiamo campo e passiamo alla musica, in particolare al pianoforte. Paradigma dominante: le note della mano sinistra fanno da accompagnamento alle note della mano destra. Lo ha dovuto affrontare per primo Paul Wittgenstein (fratello del famoso filosofo). Era un ottimo pianista, un giovane promettente, fino a che non fu mandato al fronte, come migliaia di giovani nella prima carneficina mondiale. In Polonia fu ferito e catturato. I medici russi lo rinchiusero in Siberia, dopo avergli amputato il braccio destro. Al ritorno, Paul cominciò a esercitarsi con la mano sinistra. Grazie alla sua fama, riuscì a convincere numerosi compositori a scrivere brani per la sola mano sinistra. Da allora ci sono oltre 3000 pezzi per piano dedicati alla sola mano sinistra. Grazie all’opera di Paul, il giovane Nicholas McCarthy ha potuto realizzare il suo sogno. Nato con la sola mano sinistra nel 1989, si è diplomato alla Royal Academy di Londra, è diventato un famoso concertista, ha suonato con i Coldplay e ha aperto la cerimonia delle Paraolimpiadi di fronte a milioni di spettatori.
Le donne che hanno battuto gli uomini nel loro campo, i pianisti con la mano sinistra che suonano melodie mai concepite prima, le persone che ricominciano a muoversi e parlare dopo eventi traumatici, hanno in comune il fenomeno della plasticità cerebrale che a sua volta è valorizzata dall’allenamento.
Plastico deriva dal greco, in particolare da plastikos, che a sua volta deriva dal verbo plassein, che significano rispettivamente modello e modellare. Tanto maggiore il cervello è plastico, tanto più è soggetto a cambiamenti. La plasticità cerebrale è il substrato biologico su cui si forma il potenziale umano e il suo possibile sviluppo. Nei primi anni di vita, il cervello produce una moltiplicazione innumerevole di connessioni sinaptiche. Nei primi sei mesi se ne formano centomila al secondo. Le connessioni neuronali di un bimbo sono il doppio di quelle di un adulto. Nell’adolescenza si avvia invece un processo di potatura che rende il cervello più efficiente; si tagliano alcuni rami e se ne fortificano altri.
Alcune esperienze producono alterazioni specifiche ma anche accrescono le possibilità che si verifichi un cambiamento nel futuro. La plasticità allenata genera nuova plasticità: è il fenomeno della metaplasticità. Apprendere una lingua permette di avere maggiore facilità nell’apprenderne una seconda.
Il corollario del Principio di plasticità è l’importanza dell’allenamento. L’allenamento fisico per esempio genera ormoni e neurotrasmettitori, come il BDNF (Brain Nerve Growth Factor), una sorta di ormone della crescita cerebrale, che favoriscono la neurogenesi e la plasticità, ovvero la capacità del substrato biologico di modificare i paradigmi dominanti. Negli anziani per esempio il regolare allenamento dei muscoli produce un miglioramento del 1800% sui parametri di memoria, attenzione e linguaggio. L’esercizio ha effetti salutari anche sull’ansia, sulla rabbia e sulla tristezza, perché produce le famose endorfine.
La relazione fra allenamento e plasticità non si riduce certo all’esercizio fisico, che è solo una forma dell’allenamento. Il principio combinato plasticità/allenamento dimostra che l’essere umano è dotato di una facoltà essenziale, quella di lavorare su se stesso, rendere il sé un compito infinito, migliorarsi, innalzarsi da sé. L’essere umano crea e si crea attraverso l’allenamento, l’ascesi, le acrobazie che lo emancipano dalle paludi della banalità e della mediocrità. Le disuguaglianze fra individui riguardano i differenti programmi di allenamento a cui si sottopongono e i differenti approcci alle sfide e alle fatiche dell’esercizio.
Tutte le elevazioni di tipo spirituale e fisico cominciano con una secessione dell’abitudinarietà, con una presa di distanza dal mondo esterno e dal proprio passato. Compiere la secessione significa scindere il mondo fra chi si incammina e chi rimane. E’ una sorta di sottrazione, con la quale colui che pensa e si esercita, si sottrae eticamente, logicamente e ontologicamente al suo ambiente di prima (gli uomini sono più forti, si suona solo con entrambe le mani, il cervello è come un computer che se si sfascia non sa ripararsi). Con questa sottrazione, si pone la distinzione fra due ambiti radicalmente diversi: l’ambito operativo delle mie forze personali e l’ambito operativo di tutte le altre forze. A prima vista può sembrare una ripartizione asimmetrica, quasi autodistruttiva perché la mia forza e importanza rispetto a quelle del contesto è quasi nulla. Ma è anche vero che questa distinzione mi attribuisce un’importanza che tende all’infinito. Mi invento come individuo portatore di una serie di esercizi. Separando la mia forza, le mie potenzialità e il mio ambito di competenza, si apre una sfera operativa nettamente definita, nella quale il mio sapere fare, la mia volontà, l’incarico di plasmare la mia esistenza assurgono al potere dell’autorealizzazione. Alla base c’è un esercizio ininterrotto fra ciò che dipende da me e ciò che non dipende da me. Da qui nasce il canone granitico dello sviluppo del sé, fondato sul principio della Plasticità. Il lavoro su se stessi inizia con l’evacuazione dello spazio interiore mediante lo sgombero di ciò che non mi riguarda. Scopro me stesso come compito infinito. Il sé fuoriesce dalla corrente e si costituisce come fosse un contesto sui generis. Chi lo ha compiuto ha fatto opere straordinarie.